SILVIO MARIA BUIATTI FOTOGRAFO
Non è possibile sostenere che in Friuli la fotografia abbia avuto fin dalle origini una sufficiente espansione, nonostante la fiducia e l’entusiasmo per essa siano stati presenti in Italia dalla seconda metà del secolo scorso. In quei decenni si trovano certamente figure di notevole statura come il Malignani e il conte Augusto Agricola: sono personalità che si dedicano alla fotografia lasciandoci importanti esperienze, che restano comunque isolate.
Silvio Maria Buiatti nasce a Udine nel 1890 per cui viene a trovarsi, giovanissimo, in quel Friuli degli inizi di secolo in cui un esploratore della fotografia incontra molti vuoti ed enormi difficoltà.
Esiste comunque in Udine un importante luogo d’incontro per molti giovani che intendono accostarsi all’esperienza fotografica ed è costituito dallo studio di Pietro Modotti, un autentico pioniere e acuto ricercatore delle tecniche fotografiche, che ci ha lasciato importanti scritti sulle riviste del tempo. In quello studio di via Baldissera (che nel 1910 si trasferirà in via Carducci) Buiatti apprende i primi segreti e alimenta il suo interesse per l’arte fotografica. Ma il temperamento ribelle ed anche un certo spirito d’avventura lo spingono ad evadere dalle strettoie della provincia.
Non ancora ventenne diventa per breve tempo operatore del «Pathè Journal» e nel 1910 lavora per alcuni mesi nella «Nordisch Film» a Copenaghen. L’anno seguente arriva a Monaco dove conosce R Jolph Diihrkoop, un professionista quotato ed esponente di quella nuova tendenza della fotografia tedesca che, sull’onda delle trasformazioni già iniziate in Inghilterra e Francia, prende il nome di fotografia «artistica». E’ un movimento che si concretizza nella Società internazionale dei fotografi pittorici il cui scopo è «mantenere e far progredire la fotografia come mezzo indipendente di espressione pittorica».
L’incontro con Diihrkoop è determinante per la formazione culturale e tecnica di Buiatti.
A Monaco ha modo di osservare ed apprendere molti esperimenti adottati dagli adepti della fotografia artistica: le carte al carbone, la gomma bicromata, la suggestiva tecnica del bromolio, i viraggi e l’uso degli «obiettivi d’artista» adatti per il tono sfuocato, il famoso «flou». Queste tecniche rappresentano in generale un contributo allo sviluppo della fotografia, ma serve considerare che esse scaturiscono dal gusto dell’epoca, calzano perfettamente con lo spirito del «pictorialism» teso a sublimare la realtà rappresentata. Buiatti assume pienamente – e gli è congeniale – quella poetica romantica e,per molti decenni, dopo essere tornato in Friuli, rimane fedele a quell’impostazione della fotografia pittorica, nella quale entrano come normale conseguenza il lirismo georgico dei paesaggi, gli influssi del dannunzianesimo e alcuni aspetti del liberty.
Da tutto questo nasce evidente il rifiuto ed il fastidio, in Buiatti, per le avanguardie. Spulciando fra le cronache -degli anni venti, troviamo, al riguardo, una sua risposta al cronista del Giornale d’Italia che chiede un giudizio sulla fotodinamica futurista di Anton Giulio Bragaglia: «I tentativi del collega Bragaglia non troveranno mai la desiderata soluzione perché mancano di formale e pratica concezione; anche dal punto di vista avveniristico o futurista li trovo grotteschi e banali perché assolutamente fuori dalla realtà. Io, invece. pur lasciando aperta la strada a manifestazioni sempre nuove, mi sono sempre preoccupato di aderire alla realtà».
Buiatti continua dunque per la sua strada e conquista notevole fama e molti riconoscimenti.
Nel 1924 ottiene il primo premio al Salone internazionale di Londra, nel ’30 a Varsavia e nel ’32 a Parigi; ancora nel ’32 riceve il primo premio fra gli espositori italiani alla Biennale d’arte fotografica di Roma, nel ’33 la medaglia d’oro al concorso nazionale organizzato dalla Federazione delle Comunità Artigiane e nel ’34 è primo assoluto alla mostra fotografica del paesaggio triveneto …
Anche l’inaugurazione del suo nuovo studio, nel palazzo Platea di via Marinoni, rappresenta un avvenimento artistico e mondano tale da interessare la cronaca del tempo.
Buiatti pubblica su molte riviste non solo friulane, è amico di molti artisti e tiene contatti di collaborazione con Carlo Pignat e Attilio Brisighelli, validi fotografi udinesi, e con Cesare Turrin pittore e fotografo tarcentino. Percorre il Friuli alla ricerca di suggestive inquadrature e diventa il ritrattista della media borghesia cittadina. Tutto questo potrebbe indurre a pensare che, in quegli anni, la fotografia italiana e friulana abbia raggiunto un notevole livello di diffusione e comprensione, ma non corrisponde a verità almeno per quanto riguarda gli aspetti qualitativi.
I tempi sono difficili perché i confini sono chiusi anche, per la cultura e non giungono fino a noi notizie della «rivoluzione fotografica» che si svolge in altri paesi.
Lo storico della fotografia Wladimiro Settimelli osserva giustamente che «il periodo mussoliniano resta comunque per la fotografia italiana (e non solo per la fotografia, purtroppo), quello del massimo splendore del provincialismo e del « casereccio» ad ogni costo. … In quanto ai dilettanti e ai «liberi professionisti», il salonismo e le foto tagliate alla vecchia maniera pittorica imperano da Nord a Sud. Non mancano i fotografi di valore (Riccardo Domenico Peretti Griva, Carlo Baravalle, Silvio Maria Buiatti, Ercole Massaglia, Miniati, Ghitta Carrel), ma il clima è pesante e non permette di uscire dal pittorialismo».
In questo clima Buiatti spesso si riscatta. E in tal senso va intesa una conclusione di Italo Zannier: «In un catalogo della fotografia italiana, l’opera di Buiatti dovrà necessariamente essere presente, a testimonianza di un periodo che troppo di frequente viene liquidato nella sua totalità. E’ necessario rivedere e distinguere anche all’interno del «pictorialism», per riscattare quanto vi sia di valido oltre la suggestione della sua decadente figurazione».
Indubbiamente bisogna dire che in Friuli ancora oggi non si è compiuto quel lungo travaglio per il riconoscimento delle autentiche e specifiche capacità del linguaggio fotografico. E per questi problemi è indicativo osservare l’opera di quella Tina Modotti (nata a Udine ma vissuta lungamente in Messico) allieva e amica di Weston, fotografa e rivoluzionaria che solo recentemente, ad oltre trenta anni dalla morte, è stata scoperta e valorizzata. La sua produzione fotografica, seppur di limitata quantità, è di un livello indiscutibilmente alto non solo per merito del suo talento, ma anche perchè ebbe l’occasione di operare in un clima culturale estremamente vivo.
La rassegna antologica di Buiatti, promossa dal Circolo Fotografico Friulano. può rappresentare un importante momento di discussione sulla questione fotografica.
Anzitutto bisogna sottolineare l’importanza di un patrimonio figurativo che deve essere arricchito e non disperso, perché ci offre molte indicazioni utili alla comprensione del gusto e del costume in decenni di vita friulana. Dall’opera di Buiatti è necessario allontanare alcune valutazioni formulate nel passato: troppo spesso è tato frettolosamente definito come un Chino Ermacora della fotografia e con troppa frequenza sono state privilegiate solamente le sue immagini tardoromantiche, trascurandone altre di maggior temperamento e corposità. Sono state considerazioni e preferenze estetiche nate sotto le stanche bandiere di un provincialismo che dovrebbe avere i giorni contati.
Pertanto questa mostra non rappresenta un atto di storicizzazione, ma vuole porsi con atteggiamento problematico e intende sottolineare l’importante contributo per la diffusione dell’immagine fotografica che è stato dato al Friuli da Silvio Maria Buiatti, al quale va il caloroso saluto di tutti i cittadini.
Riccardo Toffoletti
Maggio 1978
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